Il 70% degli italiani preferisce lavorare da remoto e chiede flessibilità o aumento di stipendio per abbandonarlo. Le aziende si adegueranno?
Sette italiani su dieci non accetterebbero una decisione aziendale che imponesse un ritorno completo al lavoro in ufficio, con il 27% disposto persino a cambiare lavoro pur di mantenere una modalità più flessibile. Per rimanere senza smart working, molti dipendenti chiederebbero un aumento salariale del 20% come compensazione, insieme a un’ulteriore flessibilità organizzativa.
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il trend dello smart working è in crescita e dovrebbe portare il numero di lavoratori da remoto a 3,7 milioni entro il 2025, registrando un incremento del 5% rispetto al 2024. Nel dettaglio, il lavoro da remoto è più diffuso nelle grandi imprese, dove si lavora a distanza circa nove giorni al mese, mentre nella pubblica amministrazione la media è di sette giorni, e nelle PMI si attesta a circa 6,6 giorni mensili.
Le grandi aziende sono le più orientate a mantenere e ampliare il lavoro da remoto, con quasi 2 milioni di lavoratori coinvolti e un ulteriore aumento previsto per il 2025. Tuttavia, il fenomeno registra un’inversione di tendenza nelle piccole e medie imprese, dove il numero di smart workers è calato da 570mila a 520mila quest’anno. Al contrario, nella pubblica amministrazione si prospetta un incremento degli smart workers, con il 43% delle PA che pianifica un aumento, spinto anche dal Giubileo di Roma.
Il Politecnico di Milano riporta che molte aziende stanno considerando modalità più flessibili, tra cui la settimana lavorativa corta, già adottata dal 29% delle grandi imprese in Italia. Il rischio principale per le aziende è la perdita di senso di appartenenza e di coinvolgimento, problema segnalato dal 57% delle grandi imprese.
Dal punto di vista dei lavoratori, un’indagine di Hays Italia, condotta con lo Studio legale Daverio & Florio, conferma l’importanza dello smart working per il benessere lavorativo. Per la maggior parte, un ritorno forzato in ufficio sarebbe inaccettabile e comporterebbe la ricerca di un nuovo lavoro o addirittura dimissioni. Inoltre, i lavoratori chiederebbero in media un aumento del 30% del loro stipendio per accettare l’eventuale cancellazione del lavoro da remoto