Aree interne in crisi: l’agricoltura cerca soluzioni

Spopolamento e costi alti minacciano l’agricoltura nelle aree interne. Necessarie infrastrutture e fondi mirati.

L’allevamento e l’agricoltura nelle aree interne italiane affrontano una crisi senza precedenti, aggravata da costi crescenti e mancanza di infrastrutture. Giorgio Tagliacozzo, allevatore sui monti Simbruini, racconta la sua esperienza: «Ho perso il 35% degli animali a causa dei lupi. Continuo solo per mantenere puliti i terreni e prevenire incendi. Senza i fondi europei, le perdite economiche sarebbero insostenibili». Anche il futuro delle nuove generazioni appare incerto: suo figlio non intende proseguire l’attività.

Negli ultimi 20 anni, il 72% degli imprenditori agricoli che hanno cessato l’attività in Italia operava in collina o in montagna. Questo ha causato l’abbandono di 850mila ettari di campagna coltivabile. L’Italia interna, che copre il 60% del territorio nazionale e ospita quasi 14 milioni di persone, continua a spopolarsi rapidamente, con oltre 330mila giovani laureati emigrati negli ultimi dieci anni per mancanza di servizi e opportunità.

Le difficoltà sono evidenti anche in Emilia, dove Silvia Lupi, rimasta sola a gestire la fattoria di famiglia, denuncia normative europee troppo rigide e costi proibitivi. «La Pac favorisce le grandi aziende, mentre per i piccoli allevatori è difficile ammortizzare gli investimenti. Gli incentivi non bastano a trattenere i giovani».

Secondo Cristiano Fini, presidente della Cia, è urgente un piano nazionale per le aree interne. Tra le priorità: infrastrutture, digitalizzazione, sgravi fiscali per attività locali e incentivi abitativi. Le iniziative come i distretti del cibo e piattaforme per la vendita diretta sono esempi positivi, ma richiedono maggiori risorse.

In Calabria, Mario Grillo ha creato una rete di aziende agricole puntando su turismo rurale e prodotti locali, ma le difficoltà non mancano. Da 32 aziende iniziali, ne restano solo 20. «I costi sono altissimi: basta un guasto a un trattore per far chiudere un’impresa».

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