Le imprese italiane ottengono una sufficienza nei criteri ESG, con settori virtuosi e crescita nell’economia circolare.
Nel 2024 le aziende italiane ottengono una sufficienza piena nell’applicazione dei criteri ESG, che rappresentano i pilastri per il percorso di sostenibilità aziendale e un elemento chiave per valutare gli investimenti finanziari.
Secondo i dati della prima edizione del Synesgy Global Observatory, elaborata da Crif sulla base della piattaforma Synesgy, le imprese italiane hanno registrato un miglioramento del punteggio ESG, passando da “D” (livello basso) a “C” (sufficiente). «Il 39% delle aziende italiane ha migliorato il proprio punteggio in circa un anno», sottolinea Simone Rampichini, senior director di Synesgy.
Il campione italiano analizzato comprende 135mila aziende, per lo più con un fatturato medio di 10 milioni di euro, mentre il campione globale include 500mila imprese provenienti da 144 Paesi. A livello globale, solo il 18% delle aziende raggiunge un punteggio “A” o “B” (eccellente o buono), mentre in Italia quasi metà delle grandi imprese ottiene un punteggio B (37,92%) o A (8,61%). Per le PMI, invece, i punteggi più comuni sono D (43,37%) ed E (17,14%), con una sufficienza (C) per il 30%.
Tra i settori più virtuosi spiccano trasporti/distribuzione (18,2%), edilizia (14,9%) e industria/prodotti (14,6%). Tuttavia, solo il 12,5% delle aziende ha un livello eccellente o buono, mentre oltre il 70% riceve valutazioni tra il sufficiente e il basso.
In tema di economia circolare, il Circular Economy Report 2024 del Politecnico di Milano evidenzia che il 42% delle aziende italiane ha adottato almeno una pratica circolare, come il riciclo (60%) e il design per la riparazione (48%). Tuttavia, il contributo economico di 16,4 miliardi di euro rappresenta appena il 14% del potenziale complessivo, che arriva a 119 miliardi. Gli investimenti sono in aumento (+5%), ma rimangono bassi: il 50% è sotto i 50mila euro.
«La diffusione dell’economia circolare è rallentata dalla complessità degli investimenti e dall’attendismo normativo», spiega Davide Chiaroni del Politecnico. Per crescere, l’Italia dovrà seguire modelli come quelli dei Paesi nordici, che puntano su filiere strategiche, o la Francia, che incentiva la domanda con politiche mirate.